RACCONTANDO- Francesca Eleonora Capizzi: Una giornata di M.

amy judd

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Lo sapeva che la porta della sua stanza avrebbe fatto sempre rumore per essere chiusa/aperta.
Chiunque avrebbe saputo quando avrebbe chiuso o aperto la porta. Ma era davvero importante preoccuparsene, si chiese. E con problemi che la prendevano alla gola da mattino a sera. Cosa poteva farci se le persone si odiano e vogliono ammazzarsi. Come disorientare questa traiettoria di violenza infetta. Pensò che dovremmo avere un angolo dove buttare fuori la violenza che ci pervade senza neanche esserne coscienti. Un luogo in cui decantare e non indirizzarla verso altri viventi. Ci furono tempi in cui M. aveva rotto di proposito alcune bambole. Ricordò benissimo che aveva eseguito quei gesti con un ritmo incalzante. Si sentiva cattiva nell’eseguire quei gesti. Più tardi, quando le bambole avevano un aspetto desolato e giacevano abbandonate, sua madre ne raccolse una e le disse di come lei fosse una bambina crudele. Crudele. La parola le fece un effetto a lungo termine, ma al suo primo impatto avrebbe preferito ricevere delle botte al posto di quella parola. Ci vollero anni prima di perdonarsi quegli attentati alle sue medesime bambole. Anni per togliersi quel peso. Ma era stupida o deficiente le facevano capire le amiche intorno. Questa sua diversità per M. era una impronta, un segno, e giurava fino allo spergiuro che era tutta la vita che aveva cercato di adattarsi alla vita e lei – la vita – l’aveva ignorato. Adattandosi di qua e adattattandosi di là ricominciava sempre un qualcosa ora di nuovo ora di recuperato ora di ripreso. La parte che le piaceva di più era quella di concedersi senza riserve al caso. Le volte che riusciva a farlo si sentiva salva. Per il resto una vita come tante altre, non proprio simile simile ma una vita come tante. Più amore ci voleva. Più scintille a costo di restarci secca. Amava. Avrebbe voluto amare senza paura.  Avrebbe voluto… e qui M. si fermò: cosa avrebbe voluto. Non seppe portare alle labbra nessuna risposta. Il cuore era impazzito, il corpo precorreva qualche risposta. M. credeva troppo nel significato delle parole. Per lei erano ancora magiche come nella sua infanzia. E quando sentiva parole di cattiveria gettate addosso a una persona sapeva che quelle parole dovevano essere riparate.
Durante gli anni aveva infine dovuto considerare che vi sono persone che usano le parole per non esprimere quello che pensano. Tali persone le avevano detto tante di quelle cose per poi comportarsi in un esatto contrario nel giro di qualche giorno. M. invece le aveva credute quelle parole, le aveva viste uscire dal fiato di chi le aveva pronunciate e le aveva ricevute come verità insopprimibili. E tutte quelle teorie sulla poesia che girano in certi ambienti poetici, sul dare uno scopo alla poesia, e giù con la politica, la didattica, il disagio generazionale, l’ecologia, l’ambiente…
come se la poesia possa assumersi oltre l’essere poesia. Volere dare un corso all’esondato, ai granelli scappati via dall’invisibile, ipotetico mucchio per poi attivare una classificazione, una nomenclatura di parole infine vuote. M. credeva nei benefici che la poesia poteva arrecare a chi fosse in ascolto, ma senza nessuna trattativa in corso. Sono situazioni inspiegabili: possono accadere, possono non accadere. Non riusciva mai a finire un progetto perché si fermava sempre alle domande: Cosa si vuole comunicare/Scopo del progetto/messaggio e motivazione dell’opera/ non erano per lei domande pertinenti. Le avrebbero chiesto sulla storia della sua scrittura, della sua ostinata azione nel tempo forse avrebbero raccolto qualcosa di più vero. Tutti e tutte riescono a mentire quando improntano un discorso o uno scritto allargando e spostandolo sul piano mentale, di questo M. si rese convinta nel tempo esaminando varie fonti e diversi modi di redigerle nei progetti. Lei cadeva in dei rompicapo pensando a come sia difficile tenere la linea del cuore nel pensiero. Esprimere un proprio modo di sentire non è forse la verità suggellata: orienta su aspetti che la ragione spazzerebbe via senza averli neanche esaminati, sposta l’attenzione verso legami non delineati, aumenta la percezione a trovare corrispondenze, avvicina la poesia di Charles Baudelaire alle pulsazioni dei sensi…
La giornata di M. stava per concludersi, senza considerare la notte. Le sarebbe restato il tempo per dormire o vegliare. Quasi ogni vita vista dall’esterno sembra possa andare avanti e scorrere fino all’ultimo gong. Per M. era una inezia a dare attrito allo scivolare dei giorni. Il suo era un altro mondo. Quale fosse e dove esattamente si collocava non poteva spiegarlo, ma era sicura che le dimensioni si sovrappongono aprendo mondi come ci fossero porte. La poesia apriva e non spiegava un bel niente. Si portava M. per il mondo e lei era in grado di reggere lo sforzo di vivere. Quello sforzo mortificato dalla abitudine – incapace di rigenerarsi ma necessario per compiere alcune azioni – non era la sua unica vita. Non poteva ridursi a questo, a lei occorreva sognare. Fantasticare. Rivolgersi a altro ancora. M. percorreva le vie del centro storico accorgendosi obbligatoriamente degli addobbi, delle luminarie, dello stridore delle feste. Le accadde ancora di pensare alla miseria, ora e sempre la miseria in cui sono volontariamente ridotte e tenute intere popolazioni. Il cibo non distribuito, il cibo negato è una condizione inaccettabile. È omicidio. E lei che camminava per le strade del centro storico di una città strapiena di luci e lustrini si sentiva lontana dalla miseria. Aveva vissuto per anni in condizioni di miseria, ma non era la stessa miseria quella a cui ora pensava. Non avere nessuna possibilità, restare privi di nutrimento, subire la violenza e non avere voce per comunicarlo sono costituenti di miseria. Non sapeva come spiegare… quel macroscopico peso, quel richiamo al mondo della sofferenza, e tutto per effetto della violenza, della sopraffazione, del potere economico. Che tipo di auguri avrebbe rivolto M. nel giorno di Natale: auguri di bontà/auguri di amore/auguri di bellezza/di sopravvivenza/di rivoluzione/di sovvertimento degli ordini predominanti/...come se nello scontro / della terra e delle acque / un fiore sollevasse / un piccolo stendardo / di fuoco azzurro, di pace irresistibile / d’indomita purezza.
Fu un attimo – un frammento cinematografico o di un flash fotografico o già nel letto a sognare – e quelle bambole della sua infanzia le apparvervo inermi sul lastricato galleggiante tra le luci elettriche.

Francesca Eleonora Capizzi

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