PASSAGGI CON FIGURE – Elianda Cazzorla: Un racconto per Giulia – IV puntata

maria cosway – ritratto di giulia beccaria – biblioteca nazionale braidense -milano

 

Nelle tre puntate precedenti: Mary Cosway è la pittrice del ritratto di Giulia Beccaria in giovane età. Per entrare nella personalità di Giulia e dare il guizzo degli occhi, attraverso il pennello e i colori,  Maria Cosway la incontra nei giardini reali a Parigi. Giulia le racconta l’infanzia. Dopo i giorni dorati a villa Brera, quando muore la madre, Teresa Blasco, Giulia deve andare via di casa; glielo sussurra in tutto segreto una cameriera. Giulia si sente tradita dal padre Cesare: così progetta un dispetto per minare la sua burbera autorità e organizzare il suo rito di salvezza nella prigionia.

.

Infatti, grazie a quel segreto, feci a mio padre un dispetto. Uno di quelli grossi. Doveva disperarsi com’ero io disperata. Prima di salire in carrozza, senza essere seguita da nessuno, entrai nella sua biblioteca. Lo cercai con l’ansia di chi ha poco tempo e non può sbagliare le mosse. Il cuore mi batteva. Non sapevo, dove potesse essere. Ce n’erano tanti. Tutti messi in fila. La nonna mi ripeteva che il mio nome era stato scelto per onorarlo. Io cercavo Rosseau. Dov’era Julie ou la Nouvelle Héloïse? Aveva senso portar via quel libro, non altri. Mi chiamavano: Giulia per quello! Julie dove sei? Dicevo tra me e me, Julie vieni fuori. Non c’è tempo da perdere. Girai lo sguardo attorno disperato, non potevo leggere tutti i dorsi dei volumi. E poi ce n’erano altri sugli scaffali altissimi. E salire sulla scala. Non c’era tempo. Ero già rassegnata, quando vidi più libri impilati sulla sua scrivania. Li sparpagliai, lessi i titoli. E lo vidi con i suoi fregi dorati. Presi Julie ou la Nouvelle Héloïse, poco più in là scorsi Lettres persanes, di cui non sapevo nulla. Infilai Julie nella cinta della gonna, sopra sistemai la camicetta e corsi in cortile, mi aspettava la carrozza. Lui non mi aveva detto, dove mi avrebbe portato. Non aveva avuto il coraggio di dirmelo. Conosceva la mia forza oppositiva. Lucia sotto il letto, tre giorni prima, mi aveva svelato che il conte Pietro Verri, durante il pranzo lo aveva rimproverato: Ma come in un collegio? Tu che con me hai scritto tutto il male di un’educazione tradizionale con preti e suore… Non ha detto male. Ha detto nefandezze. Io non so che vuol dire. Ma nefandezze mi fa pensare a qualcosa di nero. E il male è nero. Voi lo sapete, Giulietta, cosa significa? Io non lo sapevo. In quel momento davanti alla carrozza ero contenta per la riuscita del dispetto che avevo architettato.

Arrivammo e disse: Reverendissima madre le affido mia figlia perché sia educata con i principi più sani di antica tradizione che non ha ricevuto dalla madre. E rimasi sola con la Madre Superiora. I cavalli erano un eco lontano a galoppo. Trattenni la forza nei pugni chiusi per non piangere. Lei mi guardò e non lasciò alla tenerezza prendere il sopravvento. Disse: Ti ci abituerai!  Non è stato per nulla semplice, non riuscivo a capire, a dare un senso al comportamento di mio padre. Come poteva lasciarmi lì, da sola? In una stanza con un letto, una sedia e un tavolo. Una candela. Un inginocchiatoio. Nessuno specchio, nessuna tenda. Come poteva infliggermi una tale tortura, lui che era contrario a ogni tipo di sopraffazione. Piangere non serviva, perché quando mi asciugavo le lacrime e mi giravo attorno, nulla era cambiato. Tutto era come prima, solo la luce nella stanza era calata. Lui mi ha divisa da Marietta, da tutta la famiglia, per la nuova moglie e il figlio in arrivo. Per me solo suore e educande nei vestiti grigi. Non potevo provare odio. Era mio padre. Ma avevo tanta rabbia in corpo da spaccare porte. Non le spaccai né mi rassegnai. Un giorno sarei uscita e mi sarei ripresa la vita. Quel giorno non arrivava mai. Mi ripetevo per far correre il tempo: l’alleato del coraggio non è la forza ma la speranza. Alleato del coraggio… Uno, due, tre volte di seguito. Rancore, tanto. Certe sere, appena ponevo il capo sul cuscino e chiudevo gli occhi, vedevo comparire il suo viso, dal fondo buio della cella. Si avvicinava. Sorrideva e zac un neo sul naso, e poi zac un altro sull’orecchio. Sempre più vicino. E zac un altro neo sul labbro. Vicino. Un pelo e poi un altro e un altro. E il suo viso, che tanto somigliava al mio, diventava tutto peloso in un’infinità di nei… e lui, mio padre, diventava un leone. Mi svegliavo di soprassalto, urlavo come pazza. E riuscivo ad ammansirla la bestia accovacciata in grembo e mi addormentavo.

Mi ci volle del tempo per scoprire che c’erano altre ragazze che come me soffrivano. Finché sei nel dolore non vedi e non senti nulla. Una sera di luglio di quel 1774, un canto a due voci dalla finestra aperta della cella mi fermò. Mi riportò a Marietta di tre anni, a  quando a piedi scalzi, in giardino, mano nella mano… io sette anni… più avanti di lei, di qualche passo… Tutti dormivano. Lei con l’indice al naso, camminava e continuava a dire Ssssss e tossiva. Poi si sedette sulle mie gambe, sotto l’albero. Accoccolate una nell’altra, ci mettemmo in ascolto dei gorgheggi di due usignoli, nello scambio di chissà quale mistero. E quel mistero la  sera di luglio  nella cella si rivelò. Devo coltivare la bellezza. Organizzare un piano e stravolgere le linee che loro hanno segnato per la mia vita.  Non dissi così a me stessa, avevo dodici anni, non potevo avere  la consapevolezza che ho oggi. So che vidi il giardino del convento trasformarsi nel giardino di Brera. Non era grande uguale, ma avrei cercato anfratti dove nascondermi, nell’ora di libertà, dopo il pasto nel refettorio. Avrei scoperto ogni angolo della terra di quel perimetro ristretto, con i miei passi . Mi sarei nascosta per  leggere le pagine di Julie o la nueva Heloisa.

La natura attorno e quella del romanzo mi dettero il coraggio per sopportare la reclusione che mi era stata imposta.

Elianda Cazzorla

(IV-  Continua)

 

RIFERIMENTI ALLE  PRECEDENTI PUNTATE

I puntata

II puntata

III puntata

Lascia un commento