IO SONO QUI TU DOVE SEI?- Lorenzo Galbiati: Il neofita

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Il padre di una neonata è un praticante.
Si muove in una clinica al femminile, provando consolazione quando vede un suo simile, come dire un “collega di paternità” che, come lui, si trova completamente in balìa – o a bàlia? – delle donne.

Donne. 

Madri, ostetriche, infermiere, ginecologhe, puericultrici, pediatre – e figlia nel mio caso. Un mondo in rosa, con il nome “Alice” appeso alla porta della stanza.
Ci sono i tempi scanditi dalle donne. E dalla neonata.
Il tempo della sveglia, dell’allattamento al seno ogni tre ore e del latte artificiale – tenuto come integrazione. Il tempo del cambio del pannolino, che si ripete a più riprese durante la giornata, in parte scandito e in parte dettato dalle esigenze fisiologiche della bambina. Il tempo del sonnellino pomeridiano – e di altri, imprevedibili, sonnellini. Il tempo per parlare con l’infante, che capisce prima di imparare il linguaggio: È un piccolo essere umano con cui relazionarsi dialogando, parlandogli seriamente, come fosse un adulto, dice la pediatra. Il tempo per le coccole e il tempo per la ninna nanna. Il tempo per cambiare i vestiti. Il tempo per dormire.
Il tutto con la neonata che non dà il minimo segno di relazione: non ti guarda – tiene gli occhi chiusi –, non ti sorride, non ti parla. Geme, quello sì, piange, si lamenta, mugola, e poi si dispera, un pianto sconsolato che ti porta a domandarti incredulo quando – e soprattutto se – finirà. Per fortuna, termina sempre al contatto con il seno della madre.
Il padre si impegna in questo training con imbarazzante impaccio.
Non è abituato ad avere abitudini regolari, ai tempi cadenzati da attività relative all’igiene del corpo, a lasciar scorrere la giornata basandosi sui bisogni di un’altra persona, a restare in un’attesa vigile e attiva.
Di fronte all’infermiera che gli spiega come cambiare il pannolino, come pulire la piccola Alice, si sente come un neofita da poco convertito alla religione delle madri. Osserva i gesti disinvolti e svelti – troppo svelti! – dell’infermiera chiedendosi dove i suoi movimenti si incepperanno.
La praticità, l’intelligenza manuale, non sono i punti forti di un padre intellettuale e scrittore –   che pare non avere alcuna memoria visiva.
Prova a destreggiarsi con il pannolino, a chiuderlo sollevando la bambina per le caviglie, ma nel frattempo deve stare attento al cordone ombelicale ancora presente, una fune grigiastra sottile e fragile verso cui prova repulsione, residuo ancestrale dell’ancoramento alla placenta che come un monito ricorda al genitore:

-Io sono qui, tu dove sei? Ho bisogno di te per vivere!

E il padre, ossessionato dalla possibile perdita violenta del cordone ombelicale, che viene sbatacchiato a destra e sinistra durante i suoi impacciati movimenti, tira troppo il pannolino verso di sé, con il risultato di far scivolare Alice di lato, ed eccola prima gemere e poi piangere a dirotto, il suo viso sognante con gli occhi ancora chiusi diventa viola in tre secondi, e allora l’infermiera interviene, deve tenere ferma la neonata e lo fa con estrema efficacia, dicendo solo qualche parola al padre, che immagina di essere rimproverato.
Chi aveva bisogno di soccorso era lui, non la bambina. Lui, il praticante neofita che ha rischiato una crisi di panico vedendo sua figlia diventare viola con la bocca in preda agli spasmi violenti del pianto.
Lui, cioè io. Alle prese con Alice, cioè mia figlia.
Ma il padre neofita, in questo mondo delle madri, si vede dall’esterno, in terza persona.

Ancora non mi capacito che sto diventando padre di mia figlia.

 

Lorenzo Galbiati

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