IO NON SONO CHE UN PICCOLO UCCELLO- Paolo Polvani: note di lettura a “Di luce compressa” di Viola Bruno

nancy walker

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Scorrendo le poesie della raccolta di Viola Bruno si avverte subito decisa la sensazione che l’aspetto della musicalità rivesta un ruolo preponderante, e che anche l’impaginazione, la disposizione dei testi sulla pagina rifletta questa attenzione. A mio avviso si intersecano qui e si susseguono due diverse direzioni, la prima fa della poesia una musica colta, da camera, pochi, scelti strumenti eseguono uno spartito che rispecchia la modernità; è ascolto del mondo, restituzione dell’eco del reale attraverso la frammentazione del suono e del ritmo, attraverso un lessico che dell’attualità fa il suo perno, s’incardina nel presente. Per esempio in questa sequenza: 

Cerco la parola
che all’emozione da vestito funga
come scandaglio in fondo al pozzo giunga
bisturi affilato i lembi tolga

La seconda direzione invece propende per una musicalità popolare, da ballatella orecchiabile, sacrificando a volte la modernità col troncare le parole, col mischiare temi alti, la quiete della notte, il sospiro inerte dei cavalli, al profumo di una camomilla quasi pronta e al brusio del frigorifero, in definitiva la solennità del buio e la domestica luce di una cucina all’interno di un ritmo accattivante:

la notte ha sempre la sua quiete
 che del tacer di una battaglia sia
 o del brusio del frigo
 di una camomilla quasi pronta
 o del sospiro inerte dei cavalli

La raccolta si apre con una poesia dal titolo “Del dolore ditemi, signori”, che si snoda lungo una serie ripetuta di tale ingiunzione, che non è una vera anafora, ma ne conserva lo spirito pur nella variazione del termine: ditemi, dite oltre, dite ancora, dite, per terminare con: Ditemi, se lo sapete, dite. / Sfioratemi le spalle / e poi, di grazia, dite / se cicatrici delle ali mie / sentite.
La prima sezione ha per titolo Canto di abbandono, e porta in epigrafe una frase di Etty Illesum: “Attraversare la notte con mani vuote e aperte, mani dalle quali si è lasciato andare volontariamente il giorno. E solo dopo si può davvero riposare.”
I testi mostrano fedeltà e coerenza con l’assunto delle mani vuote e aperte, la dichiarazione iniziale è conforme al desiderio espresso nei versi di riprendere fiato, di fermare il capogiro, e se “Scenderà la febbre, dite con qualche pianta o magia antica”.
Dunque anche le atmosfere che percorrono la raccolta subiscono una biforcazione: alcuni testi si rivolgono a un tu, a un pubblico, mostrano un intento dialogico, si aprono a una serie di domande, rivelano la necessità di una platea e di un ascolto. Altri testi invece vanno nella direzione di uno scavo interiore, di una interrogazione che sveli l’essenza del sé: “Io non so per quali coordinate mi raggiungo”, oppure, altrettanto esemplare: “così son io allo specchio / che contraria l’immagine / rimanda”.
Una dualità che si presenta in varie forme, e ritorna nei versi emblematici della poesia dal titolo Mi addomestico: “Una mano il pelo alliscia / mentre mostro i denti all’altra / a tendere il guinzaglio”.
Dalla lettura dei versi emerge come la frequentazione della tradizione poetica novecentesca sia stata cibo e nutrimento assimilato, metabolizzato e restituito in una personalissima creazione:” Inclina la collina al mare, / in preghiera del suo tepore vitale / primavera eterna / madre di quest’oro”.
Scrive Fabio Martini nella seconda di copertina che funge da presentazione: “Una pesca nel pozzo più nero per portare alla luce i mostri e poter dare altra luce che fatichi uscire solo con la trasfigurazione delle parole” e ancora prima parla di tinte scure, quasi nere. 
La poesia dal titolo “Cerco la parola” costituisce una sorta di manifesto poetico, e disvela una chiarezza d’intenti, l’autrice dichiara le qualità che ogni parola poetica deve possedere: precisa netta affilata, e anche pulita liscia asciutta, e sottende, suggerisce la gioia luminosa della creatività, che contrasta con quelle tinte scure, quasi nere di cui si dice sopra, “che viva, viva, viva e mai sia morta”.

Paolo Polvani

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nancy walker

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Alcune poesie tratte da Di luce compressa di Viola Bruno

 

Come spente mongolfiere                                                

Parola che tra le dita                    
esile sabbia
 sfuggi 
solcata 
come i piedi di un santo
toccata
 da infiniti baci 
e preghiere
 disperse sulla veste
 credute al cielo
 incapaci di volare
 come spente mongolfiere

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Ogni riflesso

so Io non so per quali coordinate
mi raggiungo
 se salutare ogni giorno col suo nome
 a ricordare i passi serve
 o se comunque ognuno è sovrapposto
 al precedente
 per questo forse ancora inciampo
 e del sole inseguo ogni riflesso

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Ma custodisco il volo 

Io non sono che un piccolo uccello
ho poche piume, sparuto il muso
tenero obbrobrio
inciampo
ma custodisco il volo
nel petto
e nell’idea di ogni piccolo osso
apposta leggero
per consegnarmi al cielo.

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Cerco la parola 

Cerco la parola
che all’emozione da vestito funga
come scandaglio in fondo al pozzo giunga
bisturi affilato i lembi tolga
Intarsio e lima trucioli renda
Ventosa che al petto il fiato trattenga
che a causa d’infinita apnea svenga
precisa netta affilata
madre premurosa mai arresa
con la mano sempre tesa
Che sbuchi all’improvviso 
non risolva non attenda
che sostituisca un’altra sciolta
proveniente da una rima stolta
Che proprio lei e nessun’altra possa
pulita liscia asciutta
di opulenza scarna
ma luminosa e sorda
sonora musicale buia

 Inattesa e storta
 dal dubbio e da domanda sorta
 che viva, viva, viva e mai sia morta

 E dopo un’altra ancora
 che a lei s’accosta
 ma non la spenga
 che la sostenga
 comburente per la brace
 che sempre arda senza pace
 che stupisca sorprenda obbedisca
 ma che mai e poi mai ferisca.

 

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NOTA SULL’AUTRICE

Viola Bruno ha quarantadue anni e vive in Maremma. È cresciuta in riva al mare: non potrebbe vivere senza la sua voce, senza la sua consolazione. Oltre alla poesia, ama la musica, la fotografia, la letteratura, l’arte in ogni sua forma: è costantemente in cerca di tutto ciò che dentro scavi, che funga da specchio e carrucola nel pozzo, che porti buio e luce in parti uguali, che smuova l’anima e la pancia, I suoi versi sgorgano da un percorso di analisi che le ha consentito di raggiungere molte consapevolezze, di soffermarsi sulle emozioni, di dar loro un nome, di cercare finalmente le parole per esprimerle: di trovare la sua voce. Di luce compressa è la sua prima silloge.

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Viola Bruno, Di luce compressa– L’inedito edizioni 2023

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