IO SONO QUI TU DOVE SEI?- Lorenzo Galbiati: La pelle

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È passata la prima notte.
Divisa, separata da noi.
Io, nella nostra triade, sono stato l’unico a essere rimasto sveglio quasi fino all’alba. Tu dormi ancora inconsapevole di quello che ti è successo, ignara della tua entrata nel mondo – della tua nascita.
Tua madre ha dormito in modo profondo e ora si è svegliata non ancora in forze, debole ma felice. Unico suo desiderio vederti al più presto – ancora non ti conosce. Vuole toccarti, prenderti in braccio, assaporare quel fondamentale passaggio per la neonata costituito dal “pelle a pelle” con la genitrice.
Ma le gambe ancora non reggono: gli effetti dell’anestesia spinale tardano ad affievolirsi. Vado a prendere la sedia a rotelle e l’aiuto a caricarsi – ancora in vestaglia da notte. Fa caldo, è giugno. Ci accingiamo ad attraversare la clinica con tutte le incombenze dovute alla pandemia: mascherina e fila indiana, uno alla volta – due nel nostro caso.
Arriviamo nella stanza dove hai dormito chiusa nel tuo involucro artificiale – la culla termica. La madre dice all’infermiera che non ha ancora fatto il “pelle a pelle” con sua figlia. L’infermiera sorride e noi ne approfittiamo per chiedere il permesso di entrare tutt’e due – concesso.
Ci accostiamo a te. Sei come ti avevo lasciato la sera prima.
Supina, gli occhi chiusi, la pelle stropicciata – a tratti livida –, gli arti protesi verso l’alto a sfidare la forza di gravità. I cerotti, le medicazioni, i nastrini a indicare che siamo in area medica, una vita non ancora liberata.
Osservo i tuoi piedi scalciare, le fini dita delle mani allungarsi e roteare, tutti movimenti volti a sondare i confini dello spazio, movimenti che affondano nell’inconsistenza dell’aria – tu, così abituata a nuotare nell’oscuro mare delimitato dalla placenta.
Continuerei a osservare la tua natura animale di neonata d’Homo sapiens con l’occhio indagatore del biologo naturalista, se non fosse che la madre brama il contatto, chiede all’infermiera di poterti prendere in braccio.
La situazione non è ancora solidamente risolta, ma abbiamo il permesso di abbracciarti. L’infermiera apre la culla termica, stacca le sonde e i tubicini, e ti solleva delicatamente: ti vediamo contorcerti impaurita, ma ancora non apri gli occhi, sei al buio, alla mercé di forze ignote che ti possiedono, ti palpano, ti spostano da una parte all’altra del tuo spazio vitale.
La madre ti tocca, ti appoggia sulle sue braccia, ti guarda. Pian piano ti vediamo accartocciarti su di lei e cercare il seno dentro la vestaglia – ah, l’odore animale! Lo trovi e lentamente inizi a imparare l’arte della suzione. Anzi, non hai nulla da imparare, l’istinto è una guida affidabile che ti conduce verso ciò per cui la natura ti ha creato.
E l’infermiera, di fronte al fenomeno naturale da cucciolo di mammifero cui stiamo assistendo, proclama,  con i termini burocratico-scientifici della pediatria:
-La bambina ha ottime competenze nella suzione al seno.
La madre è contenta del giudizio tecnico appena espresso; è già fiera di te, Alice, come solo le madri possono essere delle figlie.
-Hai ottime competenze!
Chi l’avrebbe mai potuto dire che, come genitore, avrei sentito una simile sentenza su di te il primo giorno della tua vita?
E nel giro di pochi secondi vediamo che la saturazione dell’ossigeno è passata dal 96 al 99% – miracolo del contatto con la pelle di madre!
È arrivato il mio turno.
Non mi sono mai sentito così goffo. Prenderti in braccio dovrebbe essere operazione semplice, eppure sono emozionato. In queste cose un uomo è un eterno dilettante, specialmente di fronte alle donne, due nel mio caso, la madre e l’infermiera, che ti depongono docilmente tra le mie braccia.
Sembri tranquilla, serena. Hai un viso rilassato. E io, sarò che sono seduto, mi sento come un Buddha che ha raggiunto l’agognato Nirvana. Sei qui, immobile, sostenuta dai miei muscoli, sotto lo sguardo compiaciuto di tua madre. Sto assaporando la soddisfazione di chi sente di aver superato l’esame più importante della sua vita – e che tiene la sua ricompensa, il suo meraviglioso tesoro, tra le braccia.
Allungo l’indice facendo attrito con il palmo della tua mano. Osservo le tue dita incresparsi, sempre più innamorato dell’accurata sottigliezza con cui sono disegnate le tue piccole unghie. Sento le tue dita ripiegarsi sul mio indice e stringerlo delicatamente. Sei un poco più fredda di me, ma la vita scorre. Ti guardo: hai sempre gli occhi chiusi e sembri sognare, ma le dita stringono l’indice che ti ho offerto. Siamo in contatto. 

Ti sento.
Sei tu.
La tua pelle.


Lorenzo Galbiati

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