ISTANTANEE- Kit Sutherland: A proposito de “L’udito Cronico di Cristina Annino

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Le  poesie d’amore le do
In appalto ai droghieri. Io
Inseguo pensieri su cui
casco, è vero, in rime toniche.
Anche a me succede; ma in genere,
è un fatto, sto in piedi.
Ed ho
Un bell’udito cronico
per la vita, o meglio
per la testa impazzita
dell’uomo che ragiona, e gli sale
accanto in due, divisa
fino all’occhio glaciale.

 

La ristampa, dopo quasi quarant’anni, de L’udito Cronico, raccolta di poesie di Cristina Annino, per Graphe Edizioni, offre ad una generazione nuova di lettori l’opportunità di conoscere una scrittrice riconosciuta per la sua intensità ed originalità in particolare sul tema delle relazioni travagliate fra le persone. 

Nata nel 1941, Cristina all’ anagrafe Fratini, cresce in una Italia segnata dalla seconda guerra mondiale foriera di cambiamenti culturali profondi che segneranno la vita della poetessa. 

Si laurea con una tesi sull’opera di César Vallejo (1892-1938) considerato tra i più importante innovatori dello stile poetico del ventesimo secolo. Annino trova affinità nelle poesie del poeta peruviano e attraverso uno studio minuzioso della sua opera riuscirà ad intravedere la propria strada poetica. Tuttavia svilupperà una sua posizione originale che negli anni. Lei  stessa sarà all’avanguardia della nuova scrittura poetica. 

Frequenta il Caffè Paszkowski ed entra in stretto contatto con il gruppo ’70 composto di più espressioni artistiche: poeti, narratori, critici, intellettuali e musicisti, quasi tutti uomini, legati alla scena sperimentale fiorentina.  Annino conosce anche i teorici e fondatori del gruppo, Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, interessati all’intreccio tra la poesia ed il consumismo.  Conserva però sempre la sua indipendenza intellettuale e le sue poesie tratteranno temi sempre più intimi. Viaggia molto in Europa ed ebbe un forte legame con la Spagna allora franchista.

La ricerca di una espressione creativa personale porta la poetessa al di là dei limiti imposti dalle convenzioni linguistiche e poetiche. Predilige un linguaggio non familiare e non letterario, a volte enigmatico e più vicino e al suo modo di essere. Infatti, la sua ricerca concentra su espressioni che potrebbero assomigliare ad un dipinto cubista dove i riferimenti agli oggetti reali nascondono e trasfiguranno la realtà per lasciarle emergere in modo enigmatico. Questo modo di procedere è per Annino un modo per abbattere i muri soffocanti delle strutture patriarcali della nostra società. Anzi, per meglio dire, scoperchiarli e far emergere l’orrore che sta sotto ad un apparente ordine delle cose. 

Rifiuta di fare compromessi per rendere le sue poesie più commerciabili: “Neanche di una virgola,” lamentava Walter Siti amico e curatore della collettanea Nuovi Poeti Italiani 3 nel 1984. La defamiliarizzazione di oggetti o di comportamenti servivano alla poetessa per rompere le tendenze linguistiche normalizzante e rendere il primo piano enigmatico. Nonostante ciò,  Annino parla in modo confidenziale con il lettore, come fosse un amico intimo capace di capire al volo le metafore complesse ed i riferimenti velati di cose forse indicibili per lei. Crea un rapporto di fiducia che le permette condivisioni quasi liberatorie. Confessa: “Io scrivo cose che nessuno sente, oltre me.” Per questo il linguaggio poetico trattiene l’indicibile. 

Le parole che formano la voce creativa di Cristina Annino vanno al nocciolo dei pochi temi che descrive attraverso la sua opera: le relazioni tossiche, gli spazi claustrofobici, i fantasmi ‘cannibalistici’, le pulsazioni, le violenze. Due esempi: “In fondo niente esiste che mi si ponga davanti piatto, senza sbalzi di luce.” Oppure una sua replica dove risponde ad un amico che vede il mondo come “alchimia soave.”Il mondo non è forse il quadrato dove esplodo.”  

Per riprendere la metafora di arte cubista, sottolineo che la poetessa elabora a strati elementi come il gesto, l’osservare, i frammenti di tempo come il presente o il passato, comprimendo tutto in una rappresentazione sempre complessa e di non facile decifrazione. Occorre devozione alla lettura per capirne il senso. Ci vuole tempo e riletture per apprezzare le scene domestiche che dipinge con le sue metafore abilmente costruite; è quasi necessaria una mente cinematografica per visualizzare gli inquadramenti che raffigurano non solo le persone, ma suggeriscono anche ambienti ed oggetti, spesso antropomorfizzati che  rafforzano il messaggio delle sue poesia.  Non a caso, Cristina Annino era anche una pittrice e le sue opere pittoriche possono servire anche come chiave di lettura di come lei vedeva l’esistenza umana. Ritraeva, ad esempio, la solitudine che inevitabilmente ed intrinsecamente qualsiasi scrittore deve provare. Dell’intreccio tra i suoi versi e i suoi dipinti disse: “Anche la persona nel momento in cui la guardi, è già un quadro; la vertiginosa o apparente immobilità dello spazio in cui essa si muove, lo vedo come un naturale quanto reale movimento di forme e colori”. 

In una corpus che percorre una lunga vita produttiva, all’ autrice non manca l’ironia mordente o semplicemente comica; in particolare nella collezione L’Udito cronico Annino può andare  oltre le problematiche esistenziali e ironizza sulla difficoltà intellettuale di capire gli scrittori nordici come Knut Hamsun: “Io non ho la chiave.” 

Piantando 
un albero certo
si pensa all’uomo più esattamente; 
e si cresce di più, con seppie
sullo stomaco digerendo
da re. Semplice.

Il tono si alleggerisce e diventa ironicamente surreale quando la sua penna descrive il comportamento del suo cane nei versi di Il cane del buon consiglio e in quelli di Il cane dei miracoli. Di sicuro, gli animali non hanno tutte le problematiche degli esseri umani, perciò, nella poesia Lorenzo Wota dove Annino descrive la dolorosa umanità, conclude così:

“Inizio
ad odiare la gente ed ad amare le bestie.” 

Un aspetto non trascurabile in questo nostro momento di tardo-patriarcato è l’uso che l’autrice fa dell’io al maschile. Una maschera senz’altro. Lei stessa diceva che così dava voce al suo gemello morto alla nascita. Può darsi. Oppure forse era un modo per dare autorità alla voce femminile in un contesto sociale quasi esclusivamente maschile. Anche nel mondo della poesia e dell’editoria il potere è quasi sempre maschile. 

Fra le poesie in questa raccolta troviamo Lettera al padre e, dopo qualche pagina, Album di famiglia. Ci sono ricordi di un padre violento e un braccio rotto/ferito da lui quando la poetessa aveva 13 anni. Un ricordo risalente a quando si inizia a percepire la propria identità caratteriale. La figura di questo padre violento lascia un segno indelebile nella mente della poetessa. Un vissuto che probabilmente condiziona la sua scelta di partner durante la vita. Il dopoguerra non era un momento particolarmente felice per le donne che durante la guerra avevano assunto molte responsabilità nelle famiglie, nelle industrie e nelle fattorie per supplire agli uomini impegnati nella battaglia. Il ritorno alla ‘normalità’ in pochi anni sarà seguito della rivoluzione culturale e sessuale degli anni 60. Una rivoluzione che è tutt’ora in atto. Narrarsi al maschile in una cultura radicalmente maschilista costringe il lettore maschile ad una parità ed un rispetto che altrimenti potrebbe mancare. Annino si autorizza nella poesia Il tritacarne della collezione Anatomia in fuga, di esprimersi cosi: 

Io sono il più bastardo; freddo
tranquillo organismo vivente. Essere il peso
straordinario d’un uomo a compiere l’azione
esterna di trasportare se stesso nel buco nero 
della vita con la massima leggerezza.

 

In breve, Cristina Annino è una poetessa da riscoprire e la nuova edizione di L’udito cronico, per i tipi di Graphe Edizioni offre questa augurata possibilità.

 

Kit Sutherland 

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Cristina Annino, L’udito cronico– Graphe.it 2023

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ALTRI RIFERIMENTI IN SENTIERI DI CARTESENSIBILI
https://sentieridicartesensibili.wordpress.com/2023/11/28/istantanee-fernanda-ferraresso-a-proposito-di-ludito-cronico-di-cristina-annino/

 

 

 

 

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