E POI VENT’ANNI DI RISATE BUNGA BUNGA PUTTANE- Paolo Polvani: Note di lettura a “Discanto” di Francesco Sassetto.

venezia- fondamenta de l’osmarin

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Discanto è un dettagliato e impietoso resoconto che si dipana tra pubblico e privato, e si esprime in parte in lingua italiana e in parte in veneziano, inoltre in diversi testi le due lingue si presentano mischiate, alternate, confuse.
La prima sensazione alla primissima lettura è che si tratti di un libro che concilia il desiderio dell’autore di essere letto e apprezzato e compreso col desiderio del lettore di essere considerato meritevole di attenzione e sensibilità e di poter affondare i denti in un materiale poetico ad alto tasso di nutrienti e principi attivi e altrettanto alto tasso di digeribilità. A dispetto del titolo, Discanto, si tratta di testi cantabili e con una forte ambizione a riscuotere un consenso immediato e condiviso. A una prima lettura viene spontaneo riprendere il libro e rileggerlo per intero, per il piacere di riassaporare le storie raccontate, per il desiderio di lasciarsi coinvolgere nei sentimenti di forte empatia per gli esseri umani, per il sarcasmo dolente e amaro di cui molti testi fanno mostra. Sarcasmo, invettiva, disincanto, sono i sentimenti che coinvolgono il lettore fin dai primi versi. Per esempio questa sequenza contenuta in una delle prime poesie:

E poi vent’anni di risate, bunga bunga, puttane
politici corrotti, giornalisti prezzolati, finanza
allegra e leggi per sé e i suoi lacché, i trattati
con Gheddafi, il Cavaliere dall’ampio consenso
popolare, che ha fatto del paese Bordello personale.

Qui si respira l’atmosfera dei famosi versi danteschi: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”. 

Scrive esattamente Manuel Cohen, nella bella e articolata prefazione, che la prima sezione “è una zoomata micidiale sull’Italietta ridotta a parodia triste e tragicomica di sé stessa”. Qui ritroviamo i misteri mai definitivamente risolti della strategia della tensione, gli attentati all’Italicus e alla stazione di Bologna, la strage di piazza Fontana, quella zona buia e mai abbastanza illuminata che ha punteggiato tristemente tanta parte della storia d’Italia dell’ultimo mezzo secolo. Qui il trionfo della volgarità, con Mariangela, Rossana, Samantha che ridono sguaiate, e il gondoliere che racconta il suo trasporto per la Thailandia e le sue ragazzine, e la tristezza di Venezia, invasa dai turisti mordi e fuggi, che rischia di perdere per sempre la sua identità. Qui a fare da controcanto le poesie dedicate a Peppino Impastato, “tu a deridere il Don Rodrigo temuto da tutti”, e a Pierpaolo Pasolini, di cui restano le parole come pianto e frustate, oracoli, pietre scolpite, “i tuoi versi di rabbia e di pietà”.

L’adesione ad un modello di fruibilità immediata trova conferma nel richiamo a noti cantautori, Ivano Fossati e Fabrizio De André. La voce di questa raccolta è decisa, forte, non gridata ma intensa, e apre ampi spazi di silenzio ad ogni singola lettura, anse di riflessione, e spesso di sgomento, dopo ogni testo. Come non lasciarsi coinvolgere emotivamente dalle storie dei protagonisti, come rimanere indifferenti a quelle istantanee delicate e forti che ci mostrano le vicende di Giovanna, Cettina, Silvia, Jessica, Yan Lin? 

Scrive acutamente Sandro Pecchiari nella postfazione: “Potrebbe essere definita, se qualcuno necessita di definizioni e incasellamenti, una “poesia civile”, che però è civile nel senso di poesia di relazione che sa indagare la diversa natura dei rapporti che si instaurano tra le persone, di sintonia o di contrapposizione, a volte di violenza, a volte di straniamento, perché non sempre è facile distinguere chi sia lo straniero e cosa significhi essere straniero”.

La raccolta è suddivisa in tre distinte parti, la prima racconta le miserie della piccola Italia mortificata ogni giorno da politici scellerati cui corrispondono altrettanto scellerati cittadini, la seconda vira nel senso di una dimensione privata, faccende intime, un diario che registra amarezze e delusioni personali, la terza invece punta l’obiettivo su vicende di donne comuni, accenni di storie, graffi che dicono la mortificazione, l’umiliazione del quotidiano. Che cosa tiene insieme queste dimensioni così diverse? Sicuramente un sentire comune, uno sguardo che evidenzia analogie con la scrittura di Fabio Franzin, di Giacomo Vit, di Francesco Indrigo, Francesco Tomada, e aggiungerei, per quanto riguarda certe atmosfere, anche Vitaliano Trevisan di Works. Una schiera di autori aderenti al presente, legati a filo doppio con la realtà che vedono e vivono ogni giorno, che subiscono ogni giorno e che denunciano nei loro versi. I tre segmenti diversi di realtà che donano forma e sostanza al libro trovano nel discanto la loro unione, nella delusione e nella mortificazione di attese, di speranze deluse. Quanta solitudine, quanta infelicità a dispetto, o discanto, delle fabbriche, delle villette, dei Suv e dell’arroganza di chi ha fatto i soldi e sostiene un potere scellerato, politici indegni e privi di umanità, feroce competizione, voracità arrembanti, mancato rispetto delle regole. Scrive Monica Guerra nella postfazione: “Inclini ad accontentarsi di ogni deriva, pur di non affondare, si procede giustificando ogni ingiustizia sociale e ogni sua distorsione con un presunto adeguamento al sistema, ma questi versi, in assenza di retorica e con un filo di amara ironia, agiscono come un antidoto all’assuefazione”.

 

Migliori

È evidente che noi siamo migliori, camminiamo
insieme alla schiera di anime cieche
ma un po’ di lato
ad evitare confusioni e ambiguità.

Noi paghiamo tutte le tasse da pagare, facciamo i vaccini
senza protestare, abbiamo cura della nostra prole,
obbedienti a Leggi, Costituzione e Codice stradale,
piangiamo per gli affogati dei barconi, i morti
sul lavoro, le donne violentate, i bambini massacrati
dalle bombe e dalla fame, colti, sensibili, intelligenti
disponibili a tutte le diversità, la bocca piena
d’intercultura e multietnicità

attenti al Bene collettivo, alle esigenze del sociale
scriviamo articoli e saggi e poesie indignate

noi stiamo dalla parte giusta, non proprio
in prima linea ma nemmeno disertori
non ci chiamiamo fuori, siamo quelli delle cause
sacrosante Marce per la Pace Girotondi Manifesti
per i diritti degli oppressi di ogni angolo del mondo.

Siamo l’ossigeno della Nazione, cittadini d’intelletto
sano, andiamo a testa alta
mani pulite volto sereno

ci dicono tutti e ce lo diciamo da soli
quanto siamo buoni
noi, i più bravi del popolo italiano
popolo già di brava gente.

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El gondolièer sbrìssa sul canal
                                                  parla
dise àe turiste quanto ben ghe vòl
a Venessia e a la Thailandia
la so seconda casa, el va via a novembre
el torna per Nadàl
                             ma là ghe lassa el cuor

le spiage de Pataya e Patong Beach
quéi colori, i bài, i canti, quée fémene
còi cavéi lissi e neri, la pèe de oro
i òci che ride e te ciàpa.

El compra putèe che ‘l rancùra al Soi Cowboy

Jasiya, Solada, Vanida, Samai
ghe regala borséte firmàe e lingerie

                                            el pasa ore longhe d’amor

lore xe contente, thank you
tu buono
                               italiani buoni

el gondolièr passa pian i canài
ghe dise àe turiste i monumenti
                                                el rema soridente.

 

(Jasiya. Traduzione dal dialetto veneziano: Il gondoliere scivola sul canale / parla / dice alle turiste quanto ama / Venezia e la Thailandia, / la sua seconda casa, parte a novembre / torna per Natale / ma là ci lascia il cuore // le spiagge di pataya e Patong Beach, /quei colori, i balli, i canti, quelle ragazze / con i capelli lisci e neri, la pelle d’oro / gli occhi che ridono e ti catturano. // Compra ragazzine raccogliendole al Soi Cowboy // Jasiya, Solada, Vanida, Samai / regala borsette firmate e lingerie // trascorre ore lunghe d’amore // loro sono contente, thank you / tu buono / italiani buoni // il gondoliere passa lento i canali / spiega alle turiste i monumenti / rema sorridente.

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Cettina

Venuta dalle scogliere del sole di Capo d’Orlando
che odorano di fichidindia e di sale, rivàda qua zo
a ‘sta tèra de fabriche, viète e Suv nel caìgo
de San Donà de Piave.

‘Na camera pianotèra bagno e cusìna, do balcòni
su tre metri quadri d’erba smorta e semènto
par qualche suplènsa ogni tanto
mèio che star zo a spetàr.

I tuoi capelli neri, Cettina, un poco imbiancati,
gli occhi miracolosamente capaci di sorridere
ancora, la tua giovinezza perduta in carte da bollo
quella telefonata da attendere sempre.

Ti guardo in stazione seduta sulla stessa panchina
aspettare il solito treno, mi saluti mi dici “a domani”.

Ti guardo e conosco sul tuo volto un’antica ferita
un dolore nascosto
                                  una lunga storia di treni e valigie
da fare e disfare
                           una storia che non è ancora finita.

 

(versi 2/8. Traduzione dal dialetto veneziano: arrivata quaggiù / a questa terra di fabbriche, villette e Suv nella nebbia / di San Donà di Piave. // Una camera a pianterreno bagno e cucina, due finestre, / su tre metri quadrati d’erba stenta e cemento / per qualche supplenza ogni tanto / meglio che restare giù ad aspettare.)

Paolo Polvani

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NOTA SULL’AUTORE

Francesco Sassetto risiede a Venezia, dove è nato nel 1961. Si è laureato in Lettere nel 1987 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Scrive componimenti in lingua e in dialetto veneziano che hanno ricevuto numerosi premi e segnalazioni. Suoi testi e sue sillogi sono presenti in varie antologie, riviste e blog. Ha pubblicato cinque raccolte di poesia: Ad un casello impreciso (Padova, Valentina editrice 2010), Background (Milano Dot. Com Press – Le voci della luna, 2012); Stranieri (Padova, Valentina editrice 2017); Xe sta trovarse (Samuele editrice 2017); Il cielo sta fuori (Osimo, Arcipelago Itaca 2020). Molti critici si sono interessati alla sua opera e ne hanno scritto.

Francesco Sassetto, Discanto– Arcipelago Itaca edizioni 2023

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