elicia edijanto
.
ESISTE UNA GUERRA GIUSTA? LA GUERRA NO. NO, GRAZIE!
Maria Grazia Palazzo
Eccoci ad appena 77 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.
Sono una donna del ‘900, nata nel 1968, ho compreso nel tempo il portato di rivendicazioni sociali femministe, le istanze di giustizia sociale in tutto il mondo e di pace. Se dovessi dire, in modo estemporaneo, quale evento più tragico dei miei ricordi di ragazza, penserei al rapimento e all’omicidio di Aldo Moro, tra marzo e maggio 1978, gli anni del terrorismo, e l’evento catastrofico di Černobyl’ l’incidente nucleare avvenuto nell’aprile 1986, con conseguenze tremende nel nostro immaginario di adolescenti. Di lì a poco, durante i primi anni di università, ricordo invece notizie meravigliosamente incoraggianti, come la caduta del muro di Berlino, a novembre 1989, la speranza di un dialogo più ampio tra est ed ovest e la fondazione nel 1993 a Maastricht della Unione europea, la UE o Ue, un’unione politica ed economica a carattere sovranazionale, che ci faceva sentire cittadini europei. Più in là avremmo compreso come il progetto fosse soprattutto intorno alla moneta unica, l’Euro, mentre Erasmus, grazie all’intuizione dell’italiana Sofia Corradi fioriva, non troppi anni fa.
Il positivismo giuridico – o giuspositivismo, quella dottrina di filosofia del diritto, che considera possibile il diritto positivo, quello posto dal legislatore – ha ampiamente giustificato il ricorso dello Stato ad iniziative belliche. Il problema delle limitazioni nell’uso delle reazioni o iniziative belliche si pone all’attenzione pubblica con i trattati internazionali. In particolare con l’ONU, già nel 1945 si delinea il manifesto divieto dell’uso unilaterale della forza armata e, quindi, della guerra di fatto. La carta dell’ONU (Organizzazione delle nazioni Unite) prevede che, solo per effetto di una determinazione del Consiglio di Sicurezza ONU, si autorizzerebbero eventuali azioni collettive militari o l’esercizio della legittima difesa individuale o collettiva degli Stati. È evidente che dal 1945 ad oggi l’escalation di violenza non si è arrestato, con un aumento di conflitti interni e guerre civili, legate alla convivenza non solo dei popoli ma anche legate alle mire espansionistiche delle grandi potenze economiche e militari, sia in Occidente che ad Oriente, sia ad ovest che ad est.
Da più parti si dice che occorre mettere in pratica un principio etico, per la necessità di stabilire un nuovo ordine mondiale, il c.d. antropocene, se si vuole difendere i diritti umani e umanitari, con le conseguenze del caso. Da anni si ripete che occorre bandire la produzione e l’uso delle armi, e prima ancora l’idea che la violenza e la guerra possa essere un modo di risolvere controversie internazionali e nazionali.
Certamente i singoli individui non possono realizzare questa utopia, sappiamo bene che negli scenari internazionali vincono le strutture di potere, con i loro obiettivi predatori, risorse ed armi comprese, sempre più tecnologicamente avanzate e potenti. Ma la c.d. diplomazia non può funzionare se non entriamo in una ermeneutica nuova, della complessità come valore, della ecologia della mente che deve incidere in quelle strutture di potere, non invocando la semplice applicazione di un principio di legalità fondato sul vecchio positivismo, ma attrezzandoci per un appello alla volontà umana che sia capace di individuare le cause e combattere le derive della violenza. Altrimenti non sarà mai possibile che, nella eterogeneità dei fini, si converga verso scelte concrete, condivise. L’impegno per l’umano deve essere di riscoprire i ‘legami’, le connessioni che permettono di comprendere la sfida di un destino comune. Si deve andare verso la smilitarizzazione mondiale, lo ripeteva Gino Strada, medico chirurgo, fondatore insieme alla moglie Teresa Sarti, di Emergency, una ONG che si occupa ancora di progetti umanitari, con l’impegno attivo di tanti, e che ha sempre ribadito che le vittime di guerra sono per lo più civili, innocenti. Eppure si rischia di risultare retorici con questo grido, quasi che la vita umana sia un valore trascurabile, negoziabile.
Bisogna riflettere senza opinioni pregiudiziali, senza ideologie, senza scetticismi, realisticamente. Insieme a tanti pensatori e politici, uomini operosi e artisti creativi, cercare di affermare in ogni tempo che, si possono utilizzare tutti gli aggettivi che si vuole, ma una guerra rimarrà sempre una guerra. Bisogna fare qualcosa di concreto per la pace, sempre e senza soluzione di continuità. Dovunque noi siamo, nei gesti della quotidianità, nei pensieri che ispirano le nostre azioni quotidiane. L’approccio alla complessità deve abbandonare la vecchia Weltanschauung, per praticare una nuova visione, laterale, trasversale. Difendere valori e libertà non si può più, fino in fondo, senza un cambiamento di mentalità, di visione del mondo e delle relazioni. Altrimenti non si potranno raggiungere decisioni radicali e soluzioni ampiamente condivise, nelle prassi nazionali e internazionali, per creare le condizioni di base per la pace locale e globale. Ogni pacificazione richiede traiettorie multiple e permanenti. Studiamo meglio la storia che sembra si ripeta. L’uomo sapiente è anche delirante, demente, distruttivo. Non facciamo ricorso agli argomenti della resistenza partigiana contro il nazifascismo, superiamo argomenti altri, che superano lo spazio della contrapposizione, dei buoni contro i cattivi, che non produce nulla.
Pensiamo a grandi testimoni di pacificazione, di dialogo come il Mahatma Gandhi (1869-1948), a ciò che è riuscito ad instillare nel popolo indiano, il senso della sua dignità e libertà necessaria. Una delle sue frasi celebri afferma che il genere umano potrà liberarsi dalla violenza solo con la non violenza. Prima ancora Gesù di Nazareth, da lui considerato un luminoso profeta, che non appartenente a nessun potere costituito, a nessuna gerarchia o partito, lascia la sua testimonianza d’amore, di non violenza ed uno dei suoi lasciti è ‘vinci il male con il bene’.
Ma pensiamo anche a pensatori del ‘900 come Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) il cui contributo in un’ottica storica e post-positivistica resta vastissimo da esplorare e spinge a discutere sempre più la polarizzazione del pensiero classico e andare oltre, conoscere e cogliere sempre di più le interdipendenze dei fenomeni, ‘i segni dei tempi’, per interrogarsi sull’uomo come essere riflessivo e sul suo ruolo, per intercettare il vero problema che è un problema di senso della sua avventura.
Che cosa può essere il bene da perseguire strenuamente per noi post- moderni? Certamente potenziare la consapevolezza della nostra interdipendenza, delle connessioni non solo culturali ma anche economiche e soprattutto etiche. Si tratta della nostra stessa sopravvivenza, oltreché della qualità di vita di ognuno. Siamo tutti abitanti della stessa casa comune, la Terra. E, come più volte emerso, è solo abbandonando le vecchie ermeneutiche, le vecchie filosofie e logiche, soltanto abbracciando il pensiero complesso, che potremo fare del XXI secolo un tempo meno buio del XX. Lo dobbiamo alle nuove generazioni, ostaggio di vecchie logiche di potere e dominazione. Riconsideriamo le nostre democrazie come democrazie comunque deboli, comunque a rischio, per la soggezione al potere e/o alle alleanze con le grandi potenze. Non possiamo né dobbiamo considerare fratelli alcuni popoli, altri nemici. Così ragionando dobbiamo decidere di non fare due pesi e due misure, quando pensiamo ad altre guerre fratricide, tutt’ora in essere, in altre aree del mondo, in cui esistono le stesse logiche dittatoriali, in termini politici o economici e l’uso della violenza e delle armi è ampiamente in atto per tenere le popolazioni civili in ostaggio, per occupare territori. La pace non può essere un valore solo a parole, per l’Occidente.
Le conseguenze della guerra, seminano morte, ferite, perdite, separazioni. La minaccia dei crimini contro l’umanità, al di là di ogni codice di guerra, mette a repentaglio la vita di tutti, sempre. Una volta cominciato il suo gioco macabro la guerra può superare ogni previsione. L’uso delle armi a grappolo, delle armi chimiche, il pericolo delle armi nucleari mette a rischio tutti i popoli ma soprattutto i civili, che siano cittadini di democrazie moderne o di stati autarchici. I morti sono tutti uguali ed anche i sopravvissuti. Allora ci domandiamo se esista una guerra giusta. La guerra è guerra. La guerra no, no grazie! Dobbiamo fermarla, a costo di fare delle rinunce di tipo diverso. La vita di persone innocenti non può essere più discriminata, sia che appartenenti a questo o a quel popolo, civili e persino arruolati al servizio di una chiamata obbligatoria, militare. Si tratta per gran parte di persone che non hanno parte alle grandi decisioni. I capi di governo delle democrazie più mature devono tentare ogni via di riconciliazione, la sospensione di ogni conflitto, trovare il modo di riportare il gioco alla negoziazione degli interessi sottostanti, quasi sempre legati al possesso della terra, dei territori, ricchi di risorse energetiche o strategiche per la difesa di aree di confine. E in ogni caso per noi qui, vivere così, con questa cappa di angoscia addosso non è vivere bene, non è prenderci cura del vivere né globale né locale.
Forse la differenza dovranno farla le donne. Quante si spenderanno per mettere in salvo sé stesse, i loro figli, amanti, compagni, mariti, amici. Quelle che si spenderanno per altre donne, anche per i loro figli, compagni, mariti, amanti, amici. Quelle che faranno del pensiero complesso la differenza, decolonizzando sé stesse dalla violenza del mondo, decolonizzando le pratiche di relazioni private e pubbliche dalla violenza, dall’abuso, dalla prepotenza, dalla menzogna, dalla pulsione di dominio e di distruzione. Forse la differenza dovranno farla ancora le donne, uscendo allo scoperto, rischiando sempre, di pagare un prezzo anche alto, che ci renda tutti più umani. Forse la differenza la faranno le donne, testimoniando e chiedendo a tutti di lottare per la pace, non per la guerra.
.
elicia edijanto
.
INEDITI – 2022
Maria Grazia Palazzo
il ragazzo che cade per strada sfinito è anche nostro.
abbiamo lasciato giocare i potenti con le armi, al rialzo.
convinti di non essere i vinti, noi cristiani di sempre.
ed ora ci aspettano giorni più amari, lo strazio
e non vogliamo saperlo. di nuovo alle corde
cittadini impotenti, tra rovine di secolo,
eredi di sfacelo di amore universale,
aurore turbolente greco latine
l’aria più fredda del solito.
la primavera più fredda del solito.
la guerra un investimento freddo.
la pace una manifestazione senza odiens.
il consenso elettorale una delega in bianco
mentre un bambino ti chiede ‘che succede’
e tu dici ‘dormi’ sapendo di non avere
alcuna risposta
la musica ci aiuti
nella stretta al cuore,
nel nodo scorsoio dell’amore
qui nell’ora feroce della sospensione di senso,
nella ferita del respiro dentro il petto
la puzza di metallo di maledetto mondo
cenere sul capo non basta
Pasolini lo aveva predetto
ecco i corvi col loro grido cieco
1 Comment